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Da Maierato ad Africo a Roghudi: storie comuni che riaprono vecchie ferite

di Gianfranco Marino – Ci risiamo. Ancora una volta alle prese con la triste ed inesorabile conta dei danni. È la Calabria che si sgretola sotto i colpi del maltempo, e soprattutto di un’incuria e un’indifferenza che sembrano svanire sempre e solo all’indomani delle tragedie. È la storia che si ripete ciclicamente da secoli, terremoti, alluvioni, catastrofi naturali. Paesi sventrati, distrutti, trasformati in un groviglio di case senza vita e senza futuro. Gente disperata, con l’espressione dipinta sul viso, di chi si sente ormai senza passato e con un futuro estremamente incerto.
La Calabria è dipinta da corsi e ricorsi storici che richiamano alla mente immagini come quelle di Maierato, storie di grandi fatiche, di drammi umani, di sofferenze e violenze morali difficilmente cancellabili dalla memoria di chi le ha vissute. Quando si rinnovano episodi come quelli appena accaduti, scattano inevitabili i parallelismi col passato, che riaprono vecchie ferite, riacutizzano sofferenze che si rinnovano nell’animo di chi è stato testimone e vittima inerme di situazioni simili. Oltre al dolore si rinnovano anche tanti interrogativi, su cosa e quanto si sarebbe potuto fare invece di affidarsi come sempre alla sorte, confidando nella clemenza di una natura per contro quasi sempre impietosa. Riavvolgendo per un attimo il nastro dei ricordi, la mente, soprattutto nell’Area dell’Aspromonte ionico reggino non può non fermarsi al 1951. Africo è un paese poverissimo, uno degli ultimi avamposti abitati dell’Aspromonte orientale, a 690 metri di quota, in uno dei luoghi più impervi della Regione. Anche allora come oggi oltre venti giorni di pioggia battente fanno collassare il terreno che comincia a cedere, dando il via a quello che sarà il primo grande esodo dalla montagna alla marina. Da quasi sessant’anni Africo sorge sulla costa nei pressi di Bianco, del vecchio abitato, e della frazione Casalnuovo rimangono solo pochi desolanti ruderi quasi completamente ingoiati dalla macchia mediterranea. Un salto avanti di vent’anni, 1972, ancora l’Aspromonte protagonista, è la volta di Roghudi, altro piccolo centro di pastori, una sottile lingua di roccia solcata da due corsi d’acqua, case in bilico sul precipizio che sembrano simboleggiare la sfida dell’uomo alla natura, una natura che come sempre si ribella presentando un conto a volte davvero salato. Anche a Roghudi quindici giorni di pioggia incessante, e lo sperone di roccia su cui poggia il paese comincia a cedere alla furia delle acque. Un altro esodo, un’altra comunità smembrata, come quelle case rimaste ancora in bilico sul costone, tristi, solitarie, desolanti, a perenne testimonianza della sfortuna e della sofferenza di questa gente. Lasciamo Roghudi e facciamo un altro salto in avanti. Marzo 2005, dalla provincia di Reggio a quella di Cosenza, è la volta di Cerzeto e della sua frazione Cavallerizzo adagiati sul declivio di una montagna. Una fuga precipitosa dal paese alle prime luci dell’alba, neanche il tempo di prendere qualche effetto personale, giusto in tempo per mettersi in salvo prima che si scatenasse la solita scena apocalittica. Ma questa volta, se mai fosse possibile, è ancora peggio di Africo e Roghudi, infatti fermi dall’altro lato della montagna, gli inermi abitanti di Cavallerizzo hanno visto minuto per minuto, in una diretta difficilmente raccontabile, le proprie abitazioni sbriciolarsi e venire giù come fossero di carta pesta. In quegli occhi pieni di lacrime, la disperazione di chi non ha più niente, di chi a visto sfumare i ricordi di una vita, di chi si trova ad affrontare il futuro col lutto nel cuore, senza più punti di riferimento. Al contrario di Roghudi e Africo, per Cerzeto, a distanza di cinque anni il quadro è fortunatamente più confortante, grazie ad un lavoro di ricostruzione che ha privilegiato scelte diverse, basti pensare che oltre all’individuazione di un sito adiacente per la ricostruzione, i tecnici e il gruppo di lavoro formato anche da un team di psicologi ha scelto, nell’ottica della ricostruzione urbanistica partecipata di garantire nell’assegnazione dei nuovi alloggi anche il rispetto dei precedenti legami di vicinato. Una scelta nuova che a distanza di oltre mezzo secolo regala uno spaccato di una regione con tanta voglia di crescita civile e culturale. L’augurio e la speranza di tutti, è quella che il solco tracciato dall’esperienza di Cerzeto, venga seguito anche in queste nuove situazioni di emergenza. Altra è più importante speranza è quella che in un futuro prossimo si pensi a una riqualificazione geologica e a una maggiore cura del territorio in una terra dove ferite vecchie e nuove si mescolano da secoli, dove le istituzioni spesso mancano, dove si discute sull’indennità chilometrica della manodopera idraulico forestale senza pensare se e come impiegarla in una doverosa e sicuramente più proficua opera di salvaguardia e manutenzione del patrimonio boschivo e naturalistico più in generale, primo antidoto al dissesto idrogeolocico. Certo non è possibile prevedere quando e dove la natura scatenerà la propria violenza, ma di certo rimane un obbligo morale e istituzionale da parte di chi è deputato, quello di garantire l’osservanza delle regole urbanistiche è la salvaguardia di un territorio da sempre ingiustamente martoriato, affinché non si ripetano più le esperienze di Africo, Roghudi e di tanti altri piccoli e grandi centri condannati alla scomparsa.

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